Sempre a fronte alta – Sulla mia Pelle

Rubrica di Paolo Rizzo

Il veloce resoconto darà anche giustizia a coloro che da sempre si sono dissociati da quanto accaduto ed a chi ha sempre svolto il suo ruolo per come doverosamente dovuto, che sia quello di medico, di poliziotto, di magistrato, di cittadino , di studente o di tutto il resto.

Nel resoconto che leggerete non viene quindi espresso alcun giudizio o alcuna presa di posizione, ma vengono narrati i fatti per come accaduti.

Un caso di palese “in…giustizia” che ha appassionato anche l’ambito ultras, che ne ha celebrato spesso gli accadimenti con striscioni a sostegno dei familiari del Cucchi, divenuti paladini di una lotta contro quel genere di violenza nascosta mai raccontata e mai denunciata, che vede prevalere talvolta una sete di vendetta e di giustizia sommaria tra coloro chiamati ad essere i tutori dell’ordine pubblico.

Con i dovuti distinguo e con le sacrosante distinzioni tra chi opera in modo corretto e leale e chi invece approfitta del suo ruolo di supremazia, fermo restando che chi sbaglia deve pagare, leggerete i fatti così come lo stesso portale di ricerca multimediale wikipedia li racconta.

Leggerete di Stefano Cucchi, non perché si possa accusare qualcuno o giustificare qualcun’altro, bensì per evitare che si faccia il solito qualunquismo, che magari ha facile presa sulle masse che si trasformano in cassa di risonanza (e lo stadio è una di queste condizioni).

Non si può ammettere che ognuno diventi giudice senza averne il ruolo e che emetta sentenze usando lenzuoli o striscioni di carta.

La criminalizzazione in massa, sia che si parli di ultras sia che si parli di carabinieri, medici, professori o altro non potrà mai essere lo strumento adatto per chiedere giustizia e questo ce lo ha insegnato anche la stessa famiglia Cucchi.

La morte di Stefano Cucchi è un caso di cronaca nera italiana che ha attirato l’attenzione di tutti i mass media e dell’opinione pubblica italiana, per la sua crudeltà e per i contorni misteriosi ed inquietanti che l’hanno generato.

Il 15 ottobre 2009 Stefano Cucchi viene fermato dai carabinieri di Parma, dopo essere stato sorpreso a spacciare. Portato immediatamente in caserma, viene perquisito e trovato in possesso di alcune quantità di stupefacenti e di una pasticca di un medicinale per la cura dell’epilessia.

Viene decisa la custodia cautelare ed il giorno dopo viene fissata l’udienza per la conferma del fermo in carcere.

Già durante il processo, viene notato che ha difficoltà a camminare e a parlare e mostra inoltre evidenti ematomi agli occhi. In questo momento Cucchi pesa appena 43 kg circa.

Nonostante uno stato fisico precario dettato dalla malnutrizione, dall’epilessia e da quelle che risulteranno le sofferenze rese per le botte subite, viene deciso che in attesa del processo, deve rimanere in custodia cautelare presso il carcere di Regina Coeli di Roma.

Dopo l’udienza, le condizioni di Cucchi peggiorano ulteriormente, tanto da rendere necessario ed urgente una visita in ospedale.

In questa occasione, vengono messe a referto lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso (inclusa una frattura della mascella), all’addome (inclusa un’emorragia alla vescica) e al torace (incluse due fratture alla colonna vertebrale). Viene quindi richiesto il ricovero che però non avviene per il mancato consenso del paziente.

In carcere , le sue condizioni peggiorano ulteriormente, fin quando Stefano Cucchi, che adesso pesa 37 kg, muore all’ospedale Sandro Pertini il 22 ottobre 2009.

Frattanto, i suoi familiari non sono riusciti a vederlo neanche una volta e vengono avvisati del decesso per consentire l’autopsia.

Scattano le indagini ma nessuno ammette di aver fatto violenza al giovane, anzi viene portata avanti la tesi che sia morto o per uso di sostanze stupefacenti, o per le sue pregresse condizioni fisiche, o per il suo rifiuto del ricovero in ospedale.

Autorevoli fonti governative dichiarano che Stefano Cucchi era morto soltanto di anoressia e tossicodipendenza, asserendo altresì che il ragazzo fosse sieropositivo, Dichiarazioni poi ritrattate.

La famiglia, angosciata dalla perdita e da come la vicenda viene trattata, non si rassegna ed inizia una campagna stampa, con la pubblicazione di alcune foto del giovane scattate in obitorio, nelle quali sono ben visibili vari  ematomi, traumi e un evidente stato di denutrizione.

Spunta nel frattempo qualche testimone: almeno tre detenuti dichiarano di avere saputo delle percosse a Cucchi ed anzi c’è qualcuno che ne è stato testimone diretto.

Nel frattempo alcune perizie stabiliscono che le percosse ci sono satte, così come la mancata assistenza medica in un soggetto afflitto da epilessia e tossicodipendente.

Ciò fa riflettere sul fatto che niente e nessuno fermò i suoi aguzzini dal riempirlo di calci e pugni. Dal canto loro, i medici ribadiscono che fu lo stesso paziente a rifiutare il ricovero in ospedale.

Nel corso dell’indagine, tra l’altro i genitori non negano l’attività di spaccio portata avanti dal ragazzo anzi collaborano al ritrovamento di altre dosi di stupefacenti. Al contempo chiedono verità e giustizia su quanto accaduto al loro congiunto in occasione del suo arresto e della sua detenzione.

Nel novembre 2009,  una commissione parlamentare d’inchiesta, conclude che Stefano Cucchi è morto per abbandono terapeutico.

Il 30 aprile 2010,  la procura di Roma contesta ai medici il favoreggiamento, l’abbandono di incapace, l’abuso d’ufficio e il falso ideologico. Agli agenti della polizia penitenziaria vengono contestati invece le lesioni e l’abuso di autorità.

Il 13 dicembre 2012, durante il processo di primo grado, i periti stabiliscono che Cucchi è morto a causa delle mancate cure mediche, e per grave carenza di cibo e liquidi mentre viene confermato che le lesioni riscontrate post-mortem potrebbero essere causa di un pestaggio oppure di una caduta accidentale !!!

Il 5 giugno 2013 la  Corte d’Assise di Roma condanna in primo grado quattro medici dell’ospedale Sandro Pertini di Roma a 1 anno e 4 mesi e il primario a 2 anni di reclusione per omicidio colposo (con pena sospesa), un medico a 8 mesi per falso ideologico, mentre assolve 6 tra infermieri e guardie penitenziarie, i quali, secondo i giudici, non avrebbero in alcun modo contribuito alla morte di Cucchi

Il 31 ottobre 2014, con sentenza della Corte d’appello di Roma, vengono assolti tutti gli imputati, ed il sindacato di polizia penitenziaria procede a querelare la sorella di CucchiIlaria – per evere messo in dubbio la correttezza e l’onestà dell’intero corpo di polizia penitenziaria.

La famiglia del defunto ricorre in cassazione e non arresta la campagna sui mass-media per tenere alta l’attenzione su questo fatto di cronaca sempre più nera.

La Cassazione nell 15 dicembre 2015, dispone il parziale annullamento della sentenza di appello, ordinando un nuovo processo per 5 dei 6 medici

Il 18 luglio 2016, al termine del secondo processo d’appello disposto dalla Cassazione, la Corte d’Appello di Roma assolve i 5 medici perché “il fatto non sussiste”.

Su espressa richiesta dei familiari, nel settembre 2015 la Procura della Repubblica di Roma riapre un fascicolo d’indagine sul caso.

Nel gennaio del 2017, alla conclusione delle indagini preliminari, viene chiesto il rinvio a giudizio per omicidio preterintenzionale e abuso di autorità nei confronti dei militari dell’arma che a vario titolo furono implicati nell’arresto e nella detenzione di Cucchi.

Il 24 febbraio 2017 sono stati sospesi dal servizio tre carabinieri.

Il 10 luglio 2017 sono stati rinviati a giudizio cinque carabinieri.

Nell’udienza dell’11 ottobre 2018, uno degli imputati ammette i pestaggio e chiama in causa anche i suoi colleghi nonché quel qualcuno che fece sparire l’annotazione di servizio con la quale lui stesso in precedenza ammetteva i fatti.

Quest’anno in tutte le sale d’Italia è stato proiettato un film a lui dedicato dal titolo: Sulla mia pelle.

 

Paolo Rizzo

 

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